Negli ultimi anni abbiamo riempito gli hotel di software: RMS, CRM, Booking Engine, Channel Manager ognuno con i suoi algoritmi e le sue logiche.
Software sofisticati, molti tecnicamente ineccepibili.
Ma c’è un piccolo dettaglio che spesso dimentichiamo: il cliente non è un algoritmo, è un cervello umano.
👉 Un RMS può dirmi che il prezzo giusto stanotte è € 201 ma il cliente lo vede in modo molto diverso rispetto a € 199.
👉 Un CRM può inviarmi la newsletter più segmentata del mondo, ma se il messaggio non attiva i meccanismi di attenzione (urgenza, scarsità, esclusività) finirà nel cestino.
👉 Un Booking Engine può avere tutte le funzionalità di upselling, ma se il processo non è “fluido” e crea frustrazione, il cliente abbandona e va su Booking.com.
Il marketing lo ha capito da anni, tanto che parliamo ormai di neuromarketing: studiare come il cervello reagisce agli stimoli per guidare le scelte.
E allora la domanda è: perché non lo fanno anche i software dell’hospitality? O molto più semplicemente perché non l’ho fa l’hotel quando scrive i testi per il CRM o decide i colori da usare nella sua azienda?
Immaginate un Booking Engine che riconosce i “punti di attrito” dell’utente e li trasforma in opportunità per ridurre l’abbandono.
Un CRM che non solo segmenta, ma calibra tono e timing sulla base di come il cervello umano reagisce agli stimoli.
Un RMS che integra le logiche cognitive delle soglie psicologiche di prezzo, invece di limitarsi alla curva della domanda.
Il futuro non sarà dati contro emozioni, ma dati + emozioni.
E solo quando i software dell’hospitality impareranno a parlare anche al cervello umano, allora sì che faremo un vero salto di qualità.
I booking engine da parte loro qualcosa hanno implementato, ad esempio con i classici messaggi tipo “Ultima camera”.
Ma è un processo molto più profondo, più strutturato. Ad esempio, i colori del tuo hotel in base a quali criteri gli hai scelti?

